È importante e anche doveroso, recuperare interiormente pagine gloriose e insieme tragiche della nostra storia, che parlano ancora una volta dopo 91 anni, dell’odissea del dirigibile Italia nel 1928 e della presenza nella Baia del Re alle isole Svalbard, come supporto e aiuto per tutte le necessità, delle gloriose penne nere alpine.
Il 25 maggio dello stesso anno, dopo aver raggiunto il Polo nord in una spedizione scientifica, l’ “Italia” al ritorno precipita nel pack, perdendo sui ghiacci polari la navicella di comando con a bordo i dieci uomini dell’equipaggio, mentre gli altri sei rimasero intrappolati all’interno dell’involucro, che volò via e andò disperso con il suo carico umano e di essi non si seppe più nulla.
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La posizione dell’impatto era stata stimata ad 81° e 14’ di latitudine nord e 28° e 14’ di longitudine est a circa 100 Km. dalle isole Svalbard. I ghiacci alla deriva, portarono purtroppo i nove sopravissuti, con posizioni continuamente variabili, verso le isole Foyn e Broch. E questo nessuno poteva saperlo perché nessuna notizia via radio era arrivata.
Ed è allora che il 1° giugno il capitano Sora, prestigiosa figura di soldato e cittadino, incancellabile esempio di rettitudine morale, di elevato coraggio e di profonda fede, insieme con i suoi otto alpini, visto che non c’erano certezze sul quel dramma umano e non si poteva dire intorno ad esso l’ultima parola, decisero di intraprendere subito le ricerche, con l’appoggio della nave baleniera Braganza, pur armati di scialuppe cani , slitte e sci, sapendo che avrebbero dovuto affrontare per tanti giorni, rischi immensi,sofferenze,fatiche, tormentati dal vento gelido sulle montagne innevate, sul pack, sui ghiacci che infidi avvolgevano e stritolavano uomini e mezzi.Ma il coraggio e la preparazione a muoversi in ambienti estremi, maturati sulle nostre montagne, permisero però a loro di superarli con successo.
E il capitano Sora sempre alle Svalbard dopo aver profondamente esplorata, nelle sue tante ricerche, la baia di Mosselbutka, raggiunse la cima di un monte che volle dedicare al suo battaglione e lo chiamò cima Edolo. E ancora, qualche giorno dopo scoprì un’isola, creduta nelle carte geografiche un promontorio e la chiamò Alpinioya, isola degli alpini. Dopo queste splendide iniziative, mai perdendosi d’animo, con la speranza di poter salvare vite umane, rientrarono stremati alla Baia del Re il 3 settembre reduci dalle varie operazioni alla ricerca dei dispersi.
A causa dei ritardati collegamenti radio, ci vollero 49 giorni prima che tutti i superstiti dell’ “ Italia “ e alcuni soccorritori che non erano riusciti a far ritorno alle loro basi, venissero salvati.
Nove uomini perirono nelle ricerche e tra questi anche il famoso Roald Amundsen, che cadde con il suo idrovolante Latham e che fu il primo uomo a raggiungere il Polo sud nel 1911 e a volare con Nobile sul dirigibile Norge nel 1926 fino al Polo nord e poi in Alaska.Il generale Nobile fu l’unico ad essere salvato subito dall’idrovolante Fokker di Lundborg il 23 giugno e portato sulla nave Città di Milano, mentre i rimanenti 5 superstiti della Tenda Rossa furono recuperati il 12 luglio dal rompighiaccio sovietico Krassin.
Un’altra invenzione straordinaria del capitano Sora fu “La preghiera dell’alpino”. Scritta di suo pugno su uno sgualcito foglio di carta a quadretti, fu spedita alla madre il 4 luglio del 1935 e unita alla stessa una copia anche alla sorella Alessandra e al curato di San Michele. La preghiera composta per gli alpini del battaglione Edolo piacque e fu subito adottata anche da altri reparti, subendo nel tempo alcune trasformazioni nel testo, come all’inizio e l’inserimento nel finale dell’invocazione alla Madonna. La parte della preghiera del capitano Sora conservata, è considerata ancor oggi “uno dei più belli e famosi componimenti poetici ispirati alla dura vita dei nostri soldati di montagna “.
Chiudo questi bellissimi episodi della sua vita, ricordando che nel 1949 il colonnello Sora lasciava l’Esercito con il seguente stato di servizio: quattro medaglie d’argento al valor militare, tre medaglie di bronzo, due croci di guerra, il titolo di “ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia“ e due promozioni per meriti eccezionali conseguite al comando dei suoi valorosi alpini.
Con questa esperienza personale alle isole Svalbard, vissuta fra agosto e settembre del 2019, porterò nel cuore per sempre le bellezze uniche, straordinarie di questo arcipelago, accompagnandole al ricordo e alla testimonianza immensa lasciata - per noi ancor oggi come esempio e stimolo - su quei luoghi in cima al mondo, dal capitano Sora e dai suoi alpini.